PARTE IN COSTRUZIONE
Storia e Architettura
Situata nel quartiere di Sampierdarena a Genova, la chiesetta di Sant’Agostino si inserisce all’interno del complesso della Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino a Genova, complesso nato come chiesa gentilizia di un ramo dei Doria. La tradizione ha legato la piccola chiesa, risalente all’epoca pre/protoromanica, all’origine del borgo di San Pietro: è stato più volte sostenuto che si tratti della prima chiesa eretta in quello che è diventato un importante luogo di villeggiatura nel Cinquecento e uno dei motori della rivoluzione industriale nell’Ottocento.
‘’L’assenza di brani decorativi anteriori al Mille e la difficoltà di eseguire scavi in spazi così ristretti e vissuti hanno finora impedito di acclararne la fondazione, datata intorno al X Secolo, ma fatta risalire secondo alla tradizione religiosa addirittura al VIII Secolo, quando la cappella sarebbe stata intitolata a Sant’ Agostino da parte dei monaci pavesi di San Pietro in Ciel d’Oro’’.
Interno della chiesetta di Sant'Agostino
A partire dal XIII Secolo, con la costruzione della nuova chiesa di Santa Maria della Cella, l’antico tempietto perse di importanza, soffocato dalle costruzioni del complesso monastico agostiniano, inglobato nel chiostro della chiesa maggiore, che vi era stato costruito attorno e trasformato in camera sepolcrale. Di quest’ultimo intervento in particolare abbiamo testimonianza dalla lapide in marmo presente in prossimità dell’abside, datata 1446, che riporta l’epigrafe
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IHS ISTA CAPELA SANCTI AUGUSTINI EST NOBILIUM DOMINI JOHANNIS DE AURIA QUONDAM DOMINI BARTHOLOMEI ET DOMINI DOMINICI BARTHOLOMEI EIUS FILIJ ET HEREDUM SUORUM REDIFCATA MCCCCXXXXVI DIE XX.V MARTIJ
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Intorno alla metà del XVI Secolo venne operato uno scavo al fine di creare una sepoltura per la famiglia Doria, durante questa operazione venne rinvenuta per la prima volta la chiesetta, per poi essere riscoperta nel 1880, quando fu richiesto l’intervento dell’Ingegnere Giuseppe Ratto per rendere simmetriche le tue cappelle ai lati dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Cella, contestualmente vennero rinvenuti inoltre gli affreschi sotto una spesso strato di calce. A seguito del ritrovamento venne nominata una commissione di studio apposita, della quale fece parte anche Alfredo D’Andrade. Così, il 16 febbraio 1881, la città di Sampierdarena invitò il presidente dell’Accademia Ligustica ad inviare alcuni esperti ≪ a visitare le pitture ed a dare sul valore delle medesime il loro competente e saggio giudizio ≫ (lettera del Sindaco al Presidente dell’Acc. Lig., 16 febbraio 1881, in Archivio Acc. Lig. di BB.AA., filza 30).
La commissione era composta dal marchese Negrotto, presidente, da S. Vami, N. Barabino, A. D Andrade, T. Luxoro, M. Dufour, G. B. Villa. Nella Relazione, il D’Andrade fornisce tutta una serie di indicazioni sulla situazione di inglobamento della chiesuola e ne identificò i termini cronologici, proponendo una datazione intorno ai secoli X-XI. D'Andrade fece in tempo a vedere, nel 1882, i resti della porta originale, a tutto sesto, in facciata. Questa è stata demolita, insieme a parte della volta della prima campata, in una ristrutturazione di poco anteriore al 1944. I bombardamenti di quell'anno distrussero il chiostro e lasciarono quasi intatta la chiesetta.
La Soprintendenza ai Monumenti riuscì a salvare la cappella dalla ricostruzione post-bellica e a curarne il restauro ante 1954. Dalla descrizione di D’Andrade emerge anche come la chiesetta fosse inglobata nelle murature del chiostro e, quindi, pressoché invisibile, almeno in molte parti. Uno studio più completo, insieme col rilevamento della pianta e dell’alzato, fu possibile soltanto dopo il 1945.
Oggi l’edificio si presenta molto interrato, ha pianta ad aula rettangolare ed e conclusa da un’abside semicircolare che s’innesta sul corpo longitudinale per mezzo di due arconi quasi concentrici, formati da conci disposti radialmente. L’abside non presenta, all’interno, alcuna decorazione o scansione architettonica.
L'abside è realizzata con pietre di varie dimensioni, appena sbozzate e legate con abbondante malta, mentre il fianco meridionale manifesta la molteplicità degli interventi che si sono susseguiti nei secoli. Il fianco settentrionale è ancor più rimaneggiato e la facciata è stata realizzata dopo il 1945, come la stretta intercapedine che divide gran parte dell'edificio dal cortile circostante, più elevato di 1,70 m rispetto al pavimento della cappella.La cappella attuale aveva in origine un tetto a capriate lignee. I semipilastri in laterizio che dividono lo spazio in due campate, con volte a crociera, hanno comportato l'innalzamento dei muri dell'aula rettangolare; l'intervento, che non ha causato alcuna modifica all'abside (giunto sino a noi praticamente intatto), è probabilmente anteriore agli affreschi: quelli meglio conservati sono stati strappati e sono conservati nella sala capitolare della chiesa; degli altri, già deteriorati alla fine dell'Ottocento, rimangono poche tracce. Il D’Andrade giudicò le pitture tra le più antiche della Liguria, datandole tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, questi erano in origine collocati sull’arcata sinistra dell’aula, tra il secondo pilastro e l’abside.
Il fianco sinistro è oggi ricoperto da uno strato di intonaco cementizio; vi si aprono due larghe finestre seicentesche, ma la decorazione originaria ad archetti è totalmente perduta. È, invece, discretamente conservata sul lato opposto, scandito da un partito ad archetti binati su lesene, in cui si aprono due monofore originali. Sono visibili le tracce di archi, porte e finestre a sesto ribassato, ora richiuse per mezzo di inserti di mattoni. Di gran parte delle lesene restano solo le parti superiori.
L’area meglio conservata è quella absidale, percorsa da cinque arcate cieche su lesene, che si impostano su un alto zoccolo.
Nella seconda e nella quarta arcata si aprono due larghe monofore.
Il paramento murario – come si può osservare nelle parti meno rimaneggiate – è costituito da grossolani conci, appena regolarizzati nelle murature di fondo, meglio squadrati quelli impiegati con una precisa funzione architettonico-decorativa (arcate absidali, lesene, conci negli spazi di risulta fra due arcate). Caratteristica la loro disposizione nelle archeggiature absidali, non in senso radiale, ma orizzontale, accostati per il lato minore.